Il ficodindia
Nella Cusumano Lombardo


Fichidindia a Bresciana, Campobello di Mazara
(Foto N. Cusumano Lombardo)
Il ritorno dell’autore in Sicilia per rivedere la madre è come tutti i ritorni un viaggio dell’anima, una riscoperta di cose già note e custodite nel profondo come in uno scrigno: il “ritorno” alle proprie radici si traduce in appassionata ricerca di un vissuto che è proprio di una singola persona ed è comune a tante altre persone che hanno segnato il percorso di ciascuno.
La nostra pianta è originaria del Messico, dove in epoca precolombiana era già coltivata in parecchie varietà, attualmente cresce in Australia, in India, nel Mediterraneo, in Africa meridionale e in California. Il suo nome “opuntia ficus-indica” è riferito sia alla pianta che al frutto che si trova armoniosamente attaccato ai rami ellittici e carnosi detti comunemente pale, di colore un po’ glauco che spiega la frase di Vittorini “di pietra celeste”.
La pianta può raggiungere i 5 metri di altezza e il fiore si sviluppa al margine superiore delle “pale” o cladodi e si presenta con petali colorati e leggeri come di stoffa con numerosi stami; il frutto è una bacca ovoide e ombelicata all’apice e con ciuffi di spine che non rendono facile la raccolta. Raccogliere fichidindia richiede prudenza e abilità: di solito, quando i frutti si presentano colorati e maturi, il contadino li stacca dalla pianta con un taglio netto avendo cura di far cadere il delizioso frutto in un sacchetto tenuto molto vicino ai rami o meglio alle “pale”.
Le bucce mescolate alle pale e ad altri mangimi servono da foraggio, la polpa si utilizza per preparare la cosiddetta mostarda di ficodindia simile alla mostarda di uva e molto diffusa nelle zone della Sicilia. Lo stesso Vittorini racconta: ... Si aveva il maiale qualche anno, nelle case cantoniere, lo si allevava a fichidindia, e poi lo si ammazzava...
Io dissi: - Si faceva la mostarda.... E mia madre: - Si faceva ogni sorta di cose... I pomodori seccati al sole... I mostaccioli di fichidindia. Si stava bene - io dissi pensando ai pomodori a seccare sotto il sole nei pomeriggi di estate senza anima viva in tanta campagna. ”Ritorna il tema della ricerca “del tempo perduto”, il ricordo dell’infanzia trascorsa, felice perché lontana o felice di per sé, come stagione privilegiata e innocente per ogni essere umano.
Oggi in Sicilia le piante di fichidindia sono più rare forse perché si va in cerca di qualcosa di più ricercato e particolare e si dimentica il passato di questa nostra terra, un passato ricco di fiori, di frutti e di spine che talvolta diventavano aculei pronti a trafiggere la carne e l’anima dei siciliani.
