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Il melograno


Nella Cusumano Lombardo

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Fotografia di N. Cusumano Lombardo

I versi del Carducci ritornano immediatamente alla memoria di ciascuno se incontriamo un albero di melograno, che nella prima parte dell’estate si adorna di “bei vermigli fior”, per donarci i suoi frutti all’inizio di ottobre. Il poeta nel 1871 compose “Pianto antico” per ricordare il suo bambino, Dante, strappato all’affetto dei suoi cari, quando la vita incipiente sembrava schiudere orizzonti luminosi e tracciare percorsi di gioia e di speranza.
Il melograno simbolicamente significa la vita per i suoi numerosi chicchi di color rosso-rubino che sono i semi racchiusi in un frutto, la melagranata, particolare per la sua sfericità, segno di perfezione e di compiutezza.
Il Cantico dei Cantici, scritto nel periodo che va dal 400 al 330 a.C. è il carme più sublime della poesia ebraica, forse composto da più poeti o da uno solo in diversi momenti, ricco di molteplici simboli che nascondono figure e significati relativi alla teologia oppure a miti arcaici o a tradizioni scomparse. Gli interpreti cristiani vedono nel Cantico il mistico legame tra Cristo e la sua Chiesa: amore spirituale che, per essere pienamente compreso dalla mente umana, è stato espresso nelle forme sensibili dell’amore tra due giovani. Troviamo nei versi ricchi di cromatismo accentuato, un inno alla bellezza e all’amore: … “spicchio di melograno sono le tue gote/ dietro il tuo velo …/ i tuoi rivi fanno un giardino/ di melograni con frutti squisiti…” e ancora: ... “Ero discesa nel mio giardino/ a vedere i germogli della valle/ a vedere se occhieggiava la vite/ se fiorivano i melograni” … e poi … “si aprono i fiori/ e gemmano i melograni” … Il dialogo tra i due giovani s’illumina di colori, di suoni e di immagini campestri tipici di un giardino magico, simile al paradiso terrestre, luogo di delizia e di perfezione. Ricorrono non solo immagini di fiori e di piante, ma figure di animali come la colomba, la tortora, la gazzella, la cerva, che vedremo anche nei mosaici bizantini e negli affreschi e dipinti del Cinquecento, a significare le più nobili virtù come la purezza, la semplicità, la modestia, l’innocenza.
In questo nostro pianeta le virtù sopravvivono nonostante tutto e l’innocenza propria dell’infanzia mi riporta ai doni che in Sicilia i bambini ricevono giusto il giorno dei morti. Il 2 novembre degli anni 50, mia sorella ed io eravamo felici di “trovare” i regali dei morti: c’era di tutto, dalle arance di zucchero colorato ai pupi di zucchero, dalla frutta di martorana al giocattolo, al frutto del melograno. Solo che i piccoli non comprendevano il significato dei doni e tantomeno la simbologia della melagranata e si fermavano ad osservare i doni dei morti ai bimbi di famiglie modeste: solo qualche tarallo bianco o colorato, un paio di calzettoni e una melagranata, perché mai? Qualche adulto spiegava la disuguaglianza col dire : i morti sanno portare i doni più belli ai più buoni … Per tutta la giornata del 2 novembre i piccoli girovagavano per le vie del paese mostrando ad amici e parenti i doni e ponendosi mille domande, che ancora oggi non trovano risposta ...

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