I poeti di Federico II
Federico II e la sua corte (da un antico manoscritto)
Dotato di eccellenti doti politiche ed organizzative, Federico II fu un grande sovrano, che volle realizzare uno Stato forte e laico, affrontando con fermezza tutti quelli che tentavano di ostacolare il suo progetto. Egli fu anche uomo di cultura, fautore degli studi e delle arti, poeta e protettore dei poeti.
La sua corte, nella quale meglio che altrove si coniugavano politica e cultura, era frequentata da studiosi di varie discipline. In essa fiorì per volontà del sovrano la Scuola poetica siciliana, costituita da funzionari e notabili. Facevano parte di quel prestigioso cenacolo lo stesso Federico II, i suoi figli Enzo e Manfredi, il notaio Jacopo da Lentini, il cancelliere Pier delle Vigne, Guido delle Colonne, Giacomino Pugliese ed altri.
Quei poeti non erano tutti siciliani, alcuni provenivano da altre parti dell`Italia. Essi, vivendo nello stesso ambiente e scambiandosi personali esperienze letterarie, realizzavano un modello comune di poesia, che faceva propri i temi della lirica cortese, sviluppatasi qualche tempo prima in Provenza. Pertanto, come i poeti provenzali, anche quelli siciliani cantavano amori non corrisposti e donne bellissime, ma irraggiungibili. Il poeta era per la donna amata "servo d`amore", pago ugualmente anche se il suo sentimento non veniva ricambiato, perché provarlo, distinguendosi dalle persone comuni, era già un`esperienza gratificante.
La poesia siciliana, pertanto, riguardo ai contenuti mancò generalmente di originalità, mentre risultò validissima sul piano linguistico perché i poeti della corte di Palermo, al pari di quelli provenzali, nella forma perseguivano un ideale di perfezione, fondato sull`armonia e sull`eleganza. La loro lingua è il siciliano, non quello parlato dal popolo, ma un siciliano dirozzato e ingentilito da espressioni suggerite dal latino, dal provenzale e soprattutto dal gusto e dalla sensibilità personali. La lingua siciliana diventò per merito di quei poeti un modello di volgare letterario ammirato dalle persone colte allora e nelle epoche successive.
La Scuola poetica siciliana sopravvisse al suo fondatore, scomparso nel 1250, ma si dissolse dopo il 1266 perché, morto Manfredi, erede e continuatore del programma di Federico II, tramontò in Sicilia la potenza sveva, mentre gli Angioini occupavano l`Isola instaurandovi quel malgoverno che portò alla famosa rivolta del Vespro.
La produzione dei siciliani passò, allora, in Toscana e fece da modello ai poeti di quella terra, che resero illustre la loro lingua. Questa, usata in seguito da autori di talento, s`impose sulle altre parlate volgari e diventò col tempo la lingua italiana letteraria. (S.B.)